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La psicologia del complottismo: comprendere le radici emotive per contrastare le teorie del complotto

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Il fenomeno delle teorie del complotto è una realtà complessa che si radica profondamente nelle emozioni e nei bisogni psicologici delle persone. Mentre spesso si tenta di combattere il complottismo sul piano razionale, attraverso il dibattito logico e la confutazione dei dati, approcciando la questione solo da questa prospettiva si rischia di trascurare la vera essenza del problema. Infatti, per comprendere davvero perché tante persone siano attratte da queste pseudo-spiegazioni, è essenziale considerare le motivazioni emotive e psicologiche che ne stanno alla base.

I bisogni emotivi che il complottismo soddisfa

Diverse ricerche hanno dimostrato che il complottismo risponde a profondi bisogni emotivi. Uno di questi è il desiderio di sentirsi speciali e unici, che viene soddisfatto dall’idea di possedere conoscenze esclusive e segrete, spesso riassunto con il classico “non ce lo dicono.” Questa sensazione gratifica il bisogno narcisistico di sentirsi superiori rispetto alla massa, un aspetto che offre sicurezza e identità. Al contempo, il complottismo risponde a due emozioni particolarmente rilevanti: il bisogno di certezza e il senso di impotenza. Eventi catastrofici, siano essi naturali o di origine umana, mettono alla prova il nostro senso di controllo sulla realtà. Guerre, pandemie, disastri ambientali: tutte queste situazioni forzano le persone a confrontarsi con un’incertezza che genera angoscia e mette in discussione la propria stabilità interiore. Il senso di impotenza di fronte a eventi imprevedibili e incomprensibili porta molti a cercare risposte in spiegazioni alternative, anche quando queste non trovano fondamento razionale.

 

Il complotto come strumento di controllo e significato

Una delle dinamiche psicologiche più profonde alla base dell’adesione a teorie complottiste è proprio il tentativo di recuperare una sensazione di controllo. L’idea di un complotto, di una mente nascosta che governa gli eventi, riduce il disordine e l’angoscia legati all’imprevedibilità della vita. Creando un senso di ordine e di prevedibilità, anche attraverso spiegazioni fittizie, il complotto permette di dare un senso agli eventi e, in un certo modo, di ridurre la paura della morte e dell’ignoto. In questa ottica, il complotto riporta in superficie quel “potere” che le forze imprevedibili tendono a sottrarre. Il complotto, infatti, appare come un gioco di controllo in cui, anche se le regole sono oscure, vi è un ordine nascosto che ristabilisce la prevedibilità della realtà. In altre parole, il complotto, più del caos, è percepito come tollerabile.

 

Contrastare il complottismo: approcci psicologici

Contrastare le teorie del complotto richiede quindi un cambio di prospettiva: invece di concentrarsi esclusivamente su argomentazioni razionali, è fondamentale agire anche sui bisogni emotivi delle persone. Creare dialoghi aperti che validino il loro senso di insicurezza senza giudizio può aiutare a ridurre l’attrattiva del complottismo. Promuovere una visione della realtà complessa ma gestibile, dove l’incertezza non è necessariamente fonte di minaccia, può aiutare a contenere la diffusione di queste teorie.

 

Consigli di lettura

  1. “Pensiero Critico e Pseudo-Scienze” di Marco Vannini – Un testo che analizza come sviluppare un pensiero critico per affrontare e distinguere il vero dal falso.
  2. “Psicologia del Complotto” di David Robson – Esplora i meccanismi psicologici alla base delle teorie complottiste e come queste influenzano la società moderna.
  3. “Il bisogno di credere” di Daniele Giglioli – Un viaggio nelle radici profonde della necessità umana di trovare significato anche quando non vi è certezza.

 

 

Lisa Di Giovanni

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